Approdato finalmente alla camera il DDL di bilancio 2023

le ultime novità in materia di quota 103, opzione donna e ape sociale cambiate le regole della perequazione, aumenti più bassi da Gennaio.

Con il precedente Notiziario n. 21 del 22 novembre u.s., abbiamo fornito alcune prime informazioni in ordine alle misure che il Consiglio dei Ministri aveva adottato in materia di pensioni, tutte desunte dal comunicato stampa di Palazzo Chigi dopo il varo del disegno di legge sulla manovra di bilancio 2023. Nello stesso Notiziario avevamo comunque avvertito che per un giudizio più dettagliato, dovremo aspettare di leggere il testo finale del disegno di legge, che potrebbe andare incontro, come avvenuto negli anni scorsi, ad ulteriori aggiustamenti”, che è poi quello che in effetti è avvenuto, atteso che il DDL approdato alla Camera (Atto Camera n. 643) contiene importanti elementi di novità anche sulle pensioni, in buona parte anche pesanti per la categoria, sui quali proveremo ora ad entrare nel merito.

Partendo però da un paio di considerazioni preliminari di ordine politico. La prima: ancora una volta, a distanza di oltre dieci anni dalla c.d. riforma Fornero e secondo un copione che peraltro abbiamo già visto negli anni precedenti, le misure in materia pensionistica della legge di bilancio hanno la solita connotazione di provvedimenti parziali e tampone in attesa della riforma che verrà, tesi solo a limitare i danni di una applicazione piena della Fornero e dunque al fine di evitare l’entrata a regime dei requisiti previsti da quella riforma che prevede, come noto, uscite dal lavoro a 67 anni per anzianità o con 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi in via anticipata, che però interesseranno un numero esiguo di pensionandi.

La seconda considerazione è che, a undici anni dalla riforma Fornero, è la prima volta a nostra memoria che la manovra di bilancio usa il sistema previdenziale come cassa, togliendo più risorse di quanto ne assegna, atteso che, come ben dimostrano i numeri della manovra, il sistema previdenziale contribuisce con 2,1 mld di euro, che sono frutto dei tagli operati, ad una manovra pari complessivamente a 35 mld. Fare cassa con i pensionati, come la manovra di bilancio propone, è una circostanza nuova e incredibile.

Ciò premesso, entriamo ora nel merito delle misure adottate dal Governo in materia di pensioni e di cui agli articoli dal n. 53 al n. 56 del DDL approdato alla Camera.

  • “QUOTA 103” (c.d. pensione anticipata flessibile”): rinviata a tempi futuri la riforma della legge Fornero, e al fine di evitare l’entrata a regime dei requisiti previsti dalla riforma del 2011 che prevede come noto uscite dal lavoro a 67 anni per anzianità o con 42 anni (41 per le donne) e 10 mesi in via anticipata, il DDL bilancio contiene un nuovo schema di anticipo pensionistico che consentirà di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica (62 + 41= 103).

L’uscita dal lavoro prevede inoltre una finestra mobile, di tre mesi per i lavoratori privati che maturano i requisiti nel 2023, sei mesi invece per i lavoratori pubblici (per chi maturasse invece i requisiti nel 2022, le finestre mobili decorreranno rispettivamente dal 1° aprile e dal 1° agosto 2023).

“Quota 103” prevede in aggiunta un tetto dell’assegno pensionistico pari a 5 volte il trattamento minimo (circa 2.650 €), che si applicherà sino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (67 anni), il che comporterà, per il periodo di pensione pre-67 anni, una decurtazione dell’assegno.

Altra novità è l’introduzione di un incentivo economico a restare al lavoro (tipo “bonus Maroni”): per chi matura i requisiti per “quota 103” e decidesse invece di non usufruirne restando così a lavorare, avrà diritto di chiedere al proprio datore di lavoro di non pagare più i contributi all’ente previdenziale, ma di versarli direttamente nella propria busta paga, aumentandone così l’importo di circa il 10%

Come già ricordato, come CSE FLP Pensionati chiediamo da tempo la possibilità di uscita dal lavoro con 41 anni di contributi, ma senza ulteriori vincoli e condizioni. La scelta del Governo è stata invece quella di dire sì al requisito dei 41 anni di servizio, ma coniugandolo con il vincolo anagrafico dei 62 anni d’età, il che ne limita fortemente l’utilizzazione (le ultime stime parlano di 42mila lavoratori potenziali fruitori, il più uomini, dunque tanto fumo e poco arrosto), e ulteriormente limitante ci appare il tetto previsto per l’assegno pensionistico. E per quanto attiene all’incentivo economico previsto per chi resta al lavoro, va detto che l’aumento della busta paga avrà come contraltare il minor importo della futura pensione, che senza quei contributi sarà ovviamente più leggero.

 

  • “OPZIONE DONNA”: rispetto ai requisiti oggi previsti (35 anni servizio e 59 anni d’età, 60 per le lavoratrici autonome), il DDL Bilancio ne prevede la proroga, ma con alcune modifiche peggiorative.

I requisiti da maturare entro l’anno in corso saranno sempre i 35 anni di servizio, ma si uscirà solo con 60 anni d’età e a condizione di rientrare in una delle seguenti categorie (uguali a quelle dell’APE Sociale): caregiver da almeno 6 mesi (il caregiver è un familiare che si prende cura, assiste e supporta il proprio caro, generalmente anziano, nei momenti di malattia e di difficoltà); riduzione della capacità lavorativa pari almeno al 74%; licenziate o lavoratrici dipendenti da imprese per le quali è stato avviato un tavolo di crisi (per quest’ultima categoria, il requisito è sempre ridotto a 58 anni).

Dunque, rispetto ad oggi, sale di un anno il requisito d’età anagrafica per l’accesso a opzione donna (da 59 a 60), che si riduce a 58 anni con due figli e a 59 con 1 figlio, ma in particolare si restringe la platea delle donne potenziali utilizzatrici, limitate alle categorie precedentemente richiamate. E in ogni caso il DDL Bilancio riconferma il ricalcolo interamente contributivo per la determinazione dell’importo della pensione, che continuerà così produrre le penalizzazioni ben note (fino al 30%).

Non comprendiamo le ragioni di una scelta che limiterà ulteriormente l’utilizzo di “opzione donna” penalizzando così ancor di più le lavoratrici. Come CSE FLP Pensionati chiedevamo invece venisse confermata negli attuali requisiti “opzione donna” cancellandone solo l’obbligo di ricalcolo contributivo, e continuiamo a pensare che quella era la strada giusta da imboccare.

  • “APE SOCIALE”: prorogata a tutto il 2023, l’unica proroga 2023 senza modifiche, con la riconferma dei requisiti di accesso previsti dalla L. 30.12.2021, n. 234, che ne ha peraltro anche allargato la platea: 63 anni di età e 30 anni di contributi per disoccupati, caregiver, lavoratori con handicap pari ad almeno il 74%; sempre 63 anni ma con 36 anni di contributi, invece, per addetti a mansioni gravose o pesanti, che debbono essere state effettuate per 6 anni negli ultimi 7, o per 7 anni negli ultimi 10.

Come CSE FLP Pensionati, giudichiamo in modo positivo la proroga di APE Sociale che avevamo peraltro ripetutamente richiesto, anche se avremmo voluto la riduzione a 30 anni del requisito contributivo per l’APE Sociale dei lavori gravosi, ampliando ulteriormente la platea delle attività gravose e usuranti, che nell’attuale formulazione non fotografano tutte le situazioni meritevoli di tutela, che andrebbero implementate con l’inserimento di altre figure, a partire dagli operatori della sanità (personale infermieristico, OSS e socio sanitario) e socio assistenziale.

  • PEREQUAZIONE 2023: al meccanismo di adeguamento degli assegni pensionistici (c.d. “perequazione”) in base alla variazione percentuale che si è verificata nel 2022 negli indici dei prezzi al consumo, che il MEF ha già calcolato nel 7,3 %, alle regole di applicazione fissate dall’art. 1, co. 478, della legge di bilancio 2020 (legge 27.12.0219, n. 160) e ai conseguenti aumenti delle pensioni previsti da gennaio 2023, abbiamo dedicato un intero Notiziario, il n. 19 del 12 nov. u.s., al quale rinviamo. Quelle le regole e quelli i calcoli che supportavano i previsti aumenti 2023, comunque finalizzati alla tenuta del potere di acquisto delle pensioni, messo oggi a dura prova da una inflazione a due cifre.

Ebbene, la scelta, a nostro giudizio assolutamente inopportuna operata dal Governo nel DDL Bilancio e fatta al solo fine di far cassa, è stata quella di modificare l’impianto della perequazione e i suoi effetti sugli aumenti delle pensioni da gennaio p.v.

Infatti, rispetto al 7,3 % fissato nel DM a firma Giorgetti del 9.11.2022, con le nuove regole del DDL:

  • le pensioni minime (oggi 525,38 € ) godranno di un ulteriore incremento dell’1,5 % nel 2023 e del 2,7% nel 2024, e dunque l’aumento sarà del + 8.8% nel 2023 (46 €) e del + 10% nel 2024 (53 €);
  • le pensioni di importo fino a 4 volte la minima (circa 2.100 € lordi) godranno dell’intera rivalutazione pari al 100%, e dunque del 7,3%;
  • fra 4 e 5 volte la minima, avranno una rivalutazione dell’80% (prima 90%) e dunque pari al 5,84 %;
  • fra 5 e 6 volte la minima, avranno una rivalutazione del 55% (prima 75%) e dunque pari al 4,01 %;
  • fra 6 e 8 volte la minima, avranno una rivalutazione del 50% (prima 75%) e dunque pari al 3,65%;
  • fra 8 e 10 volte la minima, avranno una rivalutazione del 40% (prima 75%) e dunque pari al 2,85%;
  • sopra 10 volte la minima, avranno una rivalutazione del 35% (prima 75%) e dunque pari al 2,49%.

Se queste sono le nuove regole della perequazione, si comprende allora bene come, al piccolissimo incremento delle pensioni minime e alla riconferma della percentuale di perequazione fissata dal MEF per gli assegni pensionistici fino a 4 volte la minima, farà da contraltare una perequazione più bassa del previsto a partire dalle pensioni lorde da 2100 €, che, con riferimento alle fasce più basse (da 1400/1500 € netti al mese, non proprio pensioni d’oro!), subiranno una evidente perdita di potere d’acquisto, che diventerà sempre più corposa man mano che cresce l’assegno pensionistico.

E allora appare evidente ai nostri occhi come il combinato disposto tra la mancanza di una significativa flessibilità nelle uscite dal lavoro (che permarrà tutta nel 2023, anche a fronte di “quota 103”, in un Paese come il nostro che ha l’età di pensionamento tra le più alte del mondo), il depotenziamento gravissimo di “opzione donna” e la minore tutela del potere d’acquisto delle attuali pensioni, costituiscono scelte di carattere operativo che ci appaiono tutte orientate da una scelta a monte di carattere politico, che è quella, per noi assolutamente inaccettabile, di sottrarre risorse al sistema pensionistico per destinarle ad altri soggetti (partite IVA in primis), e di fare così cassa con le pensioni.

Come CSE FLP Pensionati, in linea con il giudizio critico espresso dalla Segreteria Generale FLP che ha chiesto di modificare la manovra di bilancio in modo significativo e ha manifestato l’intendimento di predisporre specifiche proposte emendative da presentare nelle prossime ore al Governo e alle competenti Commissioni Parlamentari, lavoreremo nei prossimi giorni per sollecitare il Parlamento a rendere meno pesante questa manovra per gli attuali pensionati e per quelli che lo diventeranno nell’anno a venire.


Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati

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