DDL Bilancio 2026: anticipo da 12 a 9 mesi dell’erogazione del TFS

Il perché di questa scelta, i costi sovrastimati e la perdita di detassazione

Sta entrando finalmente nel vivo la discussione sui contenuti del Disegno di Legge sul Bilancio 2026, dopo una partenza un po’ sottotono, che è poi proseguita con le diverse audizioni in Senato, fra le quali quelle di ISTAT e Banca d’Italia (è mancata quella di INPS, non invitata) e, per ultima, quella del Ministro Giorgetti.

La nostra Confederazione ha già espresso, sui diversi aspetti della manovra, le proprie valutazioni al riguardo e formulato le proprie proposte per modificarne gli aspetti penalizzanti e migliorare quelli insufficienti.

Inoltre, con riferimento alla parte che riguarda la previdenza, come CSE FLP Pensionati abbiamo già segnalato gli aspetti a nostro giudizio più critici, in primis l’aumento dell’età pensionabile e l’anticipo di tre mesi del TFS, ritenuta da qualcuno un “passo avanti”.

L’art. 44 del DDL Bilancio, infatti, prevede che, “con effetto dall’1 gennaio 2027” e con riferimento ai soggetti “che maturano per la predetta data i requisiti per la pensione per cessazione del rapporto di lavoro per raggiungimento dei limiti di età o di servizio, la liquidazione dei trattamenti di fine servizio da parte dell’Ente erogatore avvenga decorsi nove mesi in luogo degli attuali 12 mesi”.

Nonostante la Corte Costituzionale con due pronunce al riguardo, in particolare con la sentenza n. 130 del 2023, ha affermato che il pagamento differito del TFS “contrasta con il principio costituzionale della giusta retribuzione” e che la rateizzazione del pagamento “va ad aggravare il vulnus”, e da qui l’invito al legislatore ad“individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore…”, le denunce operate sulla “vergogna” del TFS, le tante iniziative avviate anche unitariamente, e gli impegni bipartisan assunti dalle forze politiche nel corso dell’esame alla Camera dei Deputati, possiamo tranquillamente affermare che la montagna ha partorito il topolino, perché la novità introdotta dal DDL non risolve in alcun modo il problema e dunque la norma andrà modificata.

Ci si chiede allora il perché di questa scelta da parte del Governo.

Una prima ipotesi l’abbiamo già avanzata: dopo due anni e oltre di mancata attuazione della sentenza della Corte Costituzionale, e a fronte di un nuovo imminente pronunciamento (la Corte Costituzionale si pronuncerà il 10 febbraio 2026 sulla vicenda TFS a seguito delle rimessioni operate da TAR Marche e TAR Lazio), che ovviamente non potrà contenere una nuova sollecitazione al legislatore ad intervenire, il Governo ha pensato di intervenire in materia di TFS, ma in modo tale da ridurre al massimo il danno.

Colpisce, a tal riguardo, anche la quantificazione dei maggiori oneri per la finanza pubblica indotta dalla nuova norma che troviamo in relazione tecnica del DDL: 321 mln € al lordo fisco nel 2027 che diventano 330 mln € nel 2028, somme che si ritiene francamente sovrastimate anche alla luce degli approfondimenti sul costo degli interessi (degli interessi, non del TFS in toto) che si genererebbero anticipando il pagamento a suo tempo operati in seno alla stessa Commissione Lavoro della Camera e che sono stati alla base del DDL bipartisan.

Infine, c’è un ultimo aspetto che potrebbe addirittura configurare un danno. Il DL 28.01.2019, quello che ha introdotto “Reddito di cittadinanza” e “Quota 100”, poi convertito con modificazioni dalla Legge 26/2019, ha introdotto all’art. 24 una norma sulla detassazione del TFS, che prevede una riduzione di imposta pari all’1,5% per il TFS erogato dopo 12 mesi (e via via a salire).

Ora, appare del tutto evidente come, in caso di anticipazione del TFS da 12 a 9 mesi come previsto dal DDL Bilancio 2026, il beneficio della detassazione verrebbe a scomparire.

Vedremo gli sviluppi della vicenda, anche alla luce di alcune iniziative in atto, e vi terremo informati.

Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati

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