XXIII rapporto INPS su pensioni, lavoro e sociale
Sistema previdenziale oggi in equilibrio, ma problemi possibili per il futuro
Alla presenza del Capo dello Stato, della Ministra del Lavoro, di altre cariche dello Stato e delle OO.SS. rappresentative del personale dell’Ente, il Presidente dell’INPS G. Fava ha presentato il 24 u.s. il “XXIII Rapporto annuale dell’Istituto” (clicca) che reca la fotografia dell’attuale stato di salute del lavoro, del sistema pensionistico e delle politiche sociali del nostro Paese. Per questo, è utile uno sguardo più da vicino.
Allo stato, dai numeri forniti dall’Istituto, il sistema pensionistico risulta complessivamente in equilibrio sotto il profilo della spesa, lo stesso Presidente Fava ha confermato che “la tenuta dei conti è assolutamente in equilibrio”. Qualche problema però, a suo giudizio, si profila comunque all’orizzonte, e questo in virtù del calo della natalità e del progressivo invecchiamento della popolazione, che fa lievitare di anno in anno i numeri dei pensionati rispetto a quelli, proporzionalmente ridotti, dei lavoratori attivi. Diamo qualche dato.
L’età media di uscita dal mondo del lavoro e di collocamento in pensione è di 64,2 anni, dunque minore rispetto ai 67 anni d’età previsti per la pensione di vecchiaia, e questo in ragione della possibilità di uscita anticipata che il nostro sistema ancora contempla (quote varie; opzione donne; APE social; etc.), ancorché a fronte di requisiti negli anni sempre più pesanti, che hanno ovviamente rallentato e di molto le uscite. Questa situazione determina, a parere dell’Istituto, un elemento di rischio in futuro sotto il profilo della tenuta dei conti, che a nostro avviso da qualche anno viene fronteggiato secondo uno schema oramai collaudato: rinviare sine die la riforma della Fornero e ridurre invece, anno dopo anno, le uscite anticipate, ricorrendo a diversi stratagemmi (calcolo solo contributivo; slittamento finestre mobili; requisiti più penalizzanti; etc.).
Alla data del 31 dicembre 2023, il numero dei pensionati nel nostro paese era pari a circa 16,2 milioni, dei quali 8,4 milioni le donne e solo 7,8 milioni i maschi, con un costo complessivo lordo a carico INPS pari a 347 miliardi di euro. Ma, a fronte di un numero più consistente (52%), il reddito medio da pensione per le donne risulta di molto inferiore a quello degli uomini: dei 347 mld € pagati da INPS, solo 153 mld vanno alle donne, e il loro reddito medio da pensione è pari solo a 1.524, 35 € a fronte di quello degli uomini pari a 2.056,91 €.
Il “Rapporto” offre inoltre alcuni dati interessanti anche sul fronte del lavoro dipendente. All’incremento occupazionale non ha corrisposto un incremento dei salari tale da compensare l’inflazione: i salari sono cresciuti mediamente del 6,8%, a fronte di una crescita dei prezzi di più del doppio (15-17%). Ancora: dopo una maternità, le donne subiscono un calo dei redditi annui di circa il 76%, e tornano ai livelli precedenti solo dopo 5 anni, e inoltre, dopo un figlio, la possibilità di uscita dal lavoro sale del 18% per le lavoratrici. Infine, i giovani, che risultano sottoimpiegati e sottopagati: a fronte di una retribuzione media annua 2023 del lavoro dipendente pari a quasi 26mila€, gli under 30 guadagnano poco più di 14mila €, con evidenti riflessi negativi anche sulle future pensioni. C’è dunque un problema di genere e un problema legato alle nuove generazioni.
Nel complesso, dal “Rapporto” emerge una situazione con parecchie tinte negative per il futuro: allora, per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico va allargata la base contributiva, migliorate le condizioni del lavoro e aumentate le retribuzioni, e per questo necessitano risposte urgenti e adeguate del Governo.
Il Coordinamento Nazionale CSE FLP Pensionati